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Forse mille non è proprio il numero preciso, ma il ricordo non può che andare ai mille baci (e poi cento, e poi altri mille, e così via…) tra Lesbia e Catullo, simbolo di un amore passato alla storia, ma prima di tutto passionale e fisico. Un tipo di relazione al quale al giorno d’oggi siamo molto abituati, a causa anche dei cambiamenti sociali e del mutamento dei costumi vissuti soprattutto nell’ultimo secolo. Chi potrebbe immaginare al giorno d’oggi un amore che si suole definire “platonico”? E a qualcuno verrebbe mai in mente di imbucare una lettera per il/la proprio/a amato/a?
Milena Jesenská e Franz Kafka non vissero che di questo: tantissime missive e un fortissimo legame spirituale, che potete ripercorrere nel libro “Lettere a Milena” dello scrittore.
Ma, prima di tutto, se volete immergervi completamente in questa storia, vi consiglio di accompagnare la lettura a questa melodia:
I due si conobbero in un circolo letterario praghese nel 1919, un primo incontro in cui la giovane ventitreenne, dopo aver letto ed essere rimasta affascinata dal suo racconto “Il fuochista“, propose allo scrittore di tradurre i suoi racconti in lingua ceca. L’uomo, che aveva 12 anni più di lei e ne condivideva la stessa terra d’origine, accettò. Fu da quel momento, nell’aprile 1920, che iniziò una corrispondenza, prima strettamente professionale, poi sempre più fitta e personale. Kafka trovò in quella giovane donna un’affinità elettiva, fatta di idee che prendevano corpo attraverso le parole: leggendo le traduzioni dei suoi testi, si rendeva conto che, attraverso i termini scelti per trasmettere i significati da una lingua all’altra, Milena riusciva a “percepire le cose” nel suo stesso modo. Galeotta fu la scrittura, insomma!
Non potevano essere, apparentemente, più diversi: cupo, asociale, inadatto all’esistenza lui, generosa, combattiva e piena di vitalità lei. Inizialmente, Kafka aveva cercato di mantenere ai suoi occhi una parvenza di normalità, presentandosi come un malato di tubercolosi in cura a Merano, ma presto arriverà a dirle “sono malato di mente, la malattia polmonare è soltanto uno straripare della malattia mentale” e la avverte: “se vieni da me, salti nell’abisso“.
Milena però è pure lei uno spirito problematico, incapace di adattarsi, ribelle alle convenzioni della vita stabilite da quelli prima di noi; ragiona con la sua testa e questo le ha sempre causato molti problemi, sin da quando il padre, notando degli atteggiamenti anticonformisti in collegio, l’aveva rinchiusa in manicomio, e ripudiata quando aveva deciso di sposare un letterato.
Allora Kafka sente di poterle rivelare a poco a poco i suoi tormenti interiori, le tenebre del suo animo, perché sa di trovare in lei una persona capace di capire ciò che lui prova. A lei fa leggere i suoi scritti (cosa che lasciava fare raramente ad altri), e le consegna in custodia i suoi diari, materiale che credeva ben più prezioso dei suoi romanzi, ma soprattutto con lei si apre, tanto da definirla “il coltello con il quale frugo nel mio animo“, simile al bisturi del chirurgo che scava dentro di noi per salvarci, come ha notato lo scrittore Alessandro D’Avenia.
Proprio per la sua natura, Franz si rende conto di essere incapace di sposarla e di garantirle un rapporto fatto di una quotidianità serena, tanto più che lei è già legata al marito; dunque continuano così, in un sentimento che si sublima nell’assoluto dei sogni.

Quando una volta decidono di rivedersi e di passare assieme quattro giorni a Vienna, non c’è alcun contatto corporeo tra loro, Kafka lo ritiene, per quanto voluto, impossibile, dicendole: “non oserò porgerti la mano, fanciulla, la mano sudicia, convulsa,unghiuta, incerta e tremula, cocente e fredda“. Notevole da parte di un uomo che comunque ebbe altre fidanzate (anche se con nessuna delle quali riuscì a stabilire una relazione duratura) e che era un assiduo frequentatore di bordelli. Ma Milena per lui era diventata una sorta di Musa. Lo scrittore la vede come qualcosa di fresco, di intatto, di così bello da non osare avvicinarsi a lei per contaminarla con lo “sporco” di cui si sente ossessivamente portatore. Trascorrono così il loro tempo tra i discorsi delle loro anime, e Kafka li definirà i giorni più felici della sua vita.
Il loro carteggio si conclude nel 1924 a causa di alcune incomprensioni, e lui morirà di tubercolosi nello stesso anno. Da nota giornalista che era diventata, la Jesenská gli dedicò un articolo-necrologio, descrivendolo così:
“Era impaurito, gentile e buono, eppure i libri che ha scritto sono atroci e dolorosi. Percepiva il mondo pieno di demoni invisibili che dilaniano e annientano l’essere umano indifeso. Egli era troppo perspicace, troppo saggio per poter vivere; troppo debole per lottare, debole come lo sono le persone nobili e belle che non sono capaci di intraprendere la battaglia contro la loro paura per l’incomprensione, la cattiveria e la menzogna intellettuale”
In seguito fu arrestata dalla Gestapo per aver aiutato dissidenti ed ebrei in fuga dalla Germania, e rinchiusa nel campo di Ravensbrück. Là incontrò e diventò amica di Margarete Buber-Neumann, una scrittrice alla quale raccontò la propria storia epistolare con Kafka e che le promise di scriverne un libro, promessa alla quale ha tenuto fede. “Milena l’amica di Kafka“

Una delle tormentate lettere di Kafka a Milena Jesenkà
“Ancora sabato. Questo incrociarsi di lettere deve cessare, Milena, ci fanno impazzire, non si ricorda che cosa si è scritto, a che cosa si riceve risposta e, comunque sia, si trema sempre. Capisco benissimo il tuo ceco, odo anche la risata, ma m’ingolfo nelle tue lettere tra la parola e il riso, poi odo soltanto la parola, poiché oltre a tutto la mia natura è angoscia. Non so rendermi conto se dopo le mie lettere di mercoledì-giovedì tu voglia ancora vedermi. So il rapporto fra te e me, (tu appartieni a me, anche se non dovessi vederti mai più), lo conosco in quanto non sta nel territorio confuso dell’angoscia, ma non conosco affatto il rapporto tuo verso di me, questo appartiene tutto all’angoscia. E neanche tu mi conosci Milena, lo ripeto) (a). Ciò che accade è per me qualcosa di mostruoso, il mio mondo crolla, il mio mondo risorge, vedi come tu (questo tu sono io) ne possa dare buona prova. Non mi lagno del crollo, il mondo stava crollando, mi lagno del suo ricostruirsi mi lagno delle mie deboli forze, mi lagno del venire al mondo mi lagno della luce del sole. Come continueremo a vivere? Se dici di sì alle mie lettere di risposta, non devi più vivere a Vienna, è impossibile. Milena, non si tratta di questo, tu non sei per me una signora, sei una fanciulla, non ho mai visto nessuna che fosse tanto fanciulla, non oserò porgerti la mano, fanciulla, la mano sudicia, convulsa,unghiuta, incerta e tremula, cocente e fredda.”
(Merano 12 giugno 1920)

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