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Migliaia sono gli scatti che fecero, ma ne abbiamo uno solo che li ritrae insieme. Si trovano a Parigi, il vivace centro culturale che all’epoca accoglieva moltissimi giovani esuli e impegnati come loro.

Infatti, quello che poi diventerà Robert Capa era in origine Endre Friedmann, nato nel 1913 a Budapest e costretto a scappare prima dal regime conservatore e antibolscevico di Horthy, e poi dall’avvento del partito nazionalsocialista. Stessa storte tocca a Gerda Pohorylle, ebrea tedesca figlia di una famiglia borghese, ma che fin da giovane aderisce al partito socialista e che, dopo aver sperimentato due settimane di prigione, intuisce subito di non poter più restare in Germania. A 23 anni si distacca per sempre dai suoi cari e incomincia una nuova vita nella capitale bohémienne, dove per puro caso, accompagnando un’amica in uno studio fotografico, incontra Endre.
I due si conoscono e scoprono di condividere, oltre alla sorte di espatriati, idee politiche e interessi artistici. Lui le confida quanto trovasse difficoltoso affermarsi come fotografo, nonostante il talento non gli mancasse. Lei capisce che il suo problema sono i pregiudizi e l’apparenza che contano agli occhi degli altri, e allora ha un’idea geniale: d’ora in poi non si presenterà più come un povero giovane mitteleuropeo, ma come un ricco americano di successo. Lo porta a cambiare abiti e lo ribattezza con un nome che poteva rimanere ben impresso e che non poteva essere storpiato in nessuna lingua: Robert Capa; lei stessa cambia il suo in Gerda Taro, e insieme iniziano un sodalizio professionale destinato a funzionare alla grande. Gerda è inizialmente la sua attenta manager, che gli fa ottenere sempre più commissioni, ma nel frattempo apprende da lui i segreti della fotografia e se ne appassiona. Si separano quando lui viene inviato in Spagna, e la distanza chiarisce la situazione: quando si rincontrano nel sud della Francia, quella che era partita come un’unione di lavoro, sboccia in una bellissima storia d’amore.

Decidono di vivere assieme in un minuscolo appartamento da cui si vede la Tour Eiffel, ma il tempo in cui assaporano questa vita tranquilla è davvero poco; nel 1936 inizia la guerra civile spagnola e vengono assoldati come fotografi di guerra. Accettano per testimoniare la loro presa di posizione contro la dittatura militarista che si sta instaurando, sostenuta peraltro dalla Germania nazista e dall’Italia fascista. Si recano sul campo, vivono accanto ai soldati e registrano tutto: dagli scontri veri e propri alle esistenze della gente semplice che cerca di sopravvivere giornalmente, senza sapere quello che succederà domani. Rivoluzionano la fotografia di guerra, ritraendo le persone “da vicino”, come sempre suggerirà di fare Capa, e fanno conoscere all’Europa il conflitto che precede e prepara la Seconda Guerra Mondiale.
Robert teme per l’incolumità di Gerda, e la esorta più volte a non mettere così a rischio la sua vita, ma sa che è inutile: lei si sente coinvolta tanto quanto lui, sente il bisogno di dimostrare il proprio impegno civile, di informare e di rendere partecipe l’opinione pubblica. Durante questi eventi, Capa ha un colpo di fortuna: riesce ad immortalare il momento della morte di un miliziano in una foto che lo rende famosissimo e lo consacra, a 25 anni, come “il più grande fotografo di guerra della storia”. É probabilmente per questo che le loro strade si separano: Gerda, felice della fama raggiunta da Capa, che pur aveva aiutato a costruire, vuole però diventare anche lei stessa pienamente “Gerda Taro”, seguire la propria strada, trovare la foto perfetta, e non vivere all’ombra ingombrante di Capa. Lui infatti, in quel clima di precarietà, bombardamenti e morte, le aveva chiesto di sposarlo; lei aveva scelto l’indipendenza!
Robert allora era tornato in Francia, mentre Gerda si era fatta sempre più vicino agli scontri. Era l’unica reporter presente a Brunete, a ovest di Madrid, e con il suo marchio, Photo Taro, mostrava la falsità della propaganda franchista e il coraggio dei repubblicani, sempre assieme agli orrori che ogni guerra, ma a maggior ragione una civile, porta con sé e riversa sugli innocenti. Un giorno, mentre viaggiava sul predellino di un convoglio di feriti, a causa di un attacco aereo tedesco, Gerda viene sbalzata e investita da un tank. Persino nelle ultime lunghe ore di agonia non perde il coraggio, la forza d’animo e l’interezza che aveva caratterizzato tutta la sua vita, resiste composta, e prima di chiudere gli occhi per sempre, a 26 anni, pare abbia chiesto dove fosse la sua macchina fotografica. Fu la prima fotoreporter donna a morire “in azione”. Quando seppe della notizia, Capa ne uscì distrutto.

In seguito divenne un fotografo sempre più celebre, e fondò l’agenzia Magnum Photos. Sebbene amasse la vita e ritenesse la guerra “l’inferno che l’uomo si è creato da solo”, documentò il conflitto tra Cina e Giappone, quello mondiale, quello tra Israele e Palestina e quello tra Francia e Indocina, durante il quale trovò una morte simile a quella di Gerda nel 1954, quando calpestò una mina. Era interessato alle vite degli ultimi e degli umili, e di chi ha perso tutto, forse perché vi si immedesimava molto bene. Nella sua vita ebbe altre donne, ma non volle sposarsi mai.
Se vi è piaciuta la storia di Robert e Gerda, tra i numerosi approfondimenti (libri, film, mostre, graphic novels…) vi consiglio di leggere il romanzo “La ragazza con Leica” di Helena Janeczek – vincitore del premio Strega 2018 – e di ascoltare la canzone “Taro” della band inglese Alt-J.